Ai piedi di uno stretto vallone verdeggiante, incassato fra pareti di roccia e affacciato sul mare che bagna il promontorio di Portofino, è incastonata la leggendaria abbazia di San Fruttuoso di Capodimonte, con intorno un minuscolo borgo di pescatori che per secoli fu covo di pirati nel Medioevo. L'abbazia, perfettamente integrata con uno dei tratti più suggestivi della costa ligure, deve il suo fascino eterno a una storia più che millenaria, al paesaggio che la incornicia e anche alla sua posizione che la rende raggiungibile solo in due modi: a piedi, seguendo il sentiero che passa per la vetta di Portofino, oppure via mare, con uno dei tanti battelli che ogni giorno partono dalla vicina Camogli, o anche da Santa Margherita e da Genova. Secondo la tesi più accreditata, la fondazione dell'eremo risalirebbe all'anno 711. Ma subito la storia si mescola alla leggenda: infatti pare che cinque monaci spagnoli di Tarragona fossero visitati, in sogno, dallo spirito del Vescovo Fruttuoso il quale, nel 259, aveva pagato con il rogo il suo rifiuto di abbracciare il paganesimo, come imposto dall'Imperatore Decio. Secondo il mito lo stesso Fruttuoso implorò i monaci affinché le sue spoglie venissero traslate in Liguria, indicando il punto esatto in cui dovevano essere sepolte. Tale luogo sarebbe stato riconoscibile per la presenza di una caverna, di una sorgente e di un drago feroce. In effetti l'esistenza di una fonte a Capodimonte è testimoniata dalle abitudini degli stessi Romani, che spesso dopo essere salpati dal porto di Genova facevano scalo in questa baia per rifornirsi d'acqua. Lo stesso facevano pirati e corsari di varia provenienza, e forse per questo fu diffusa la leggenda del drago, che doveva servire a proteggere la sorgente. Il racconto della tradizione afferma comunque che fu un angelo a guidare i religiosi spagnoli fino al punto descritto nel loro sogno, sconfiggendo il drago che vi era insediato. E forse lo stesso racconto contribuì a diffondere il culto di San Fruttuoso, cui si attribuiva il potere di proteggere i naviganti, fino al X secolo quando i Benedettini vi fondarono il primo cenobio. Parte della struttura che ancora oggi si ammira, nella stretta lingua di terra che separa il canalone da una spiaggetta e dal mare, risale proprio a un millennio fa, nonostante i saccheggi e le devastazioni dei saraceni, e la conseguente ricostruzione, nel XIII secolo, del frontone con il duplice ordine di trifore che guardano al mare. La ristrutturazione, voluta dalla potentissima famiglia genovese dei Doria, interessò anche l'originaria torre nolare che svetta sulla chiesa dal X secolo: attorno alla calotta leggermente ovale in stile bizantino, tuttora visibile, fu eretto infatti un rivestimento ottagonale con lesene a vista. Il più celebre esponente della dinastia, l'ammiraglio Andrea Doria, commissionò il rifacimento del chiostro che oggi appare composto da due ordini di arcate, colonne e capitelli di stile romanico, e coperto da volte a crociera. Al piano inferiore del chiostro, in un vano attiguo al colonnato, i Doria collocarono le tombe di sette membri illustri del casato. Sui sarcofagi, una doppia fila di raffinate colonnine sorregge le caratteristiche arcatelle ogivali bicrome, in marmo bianco e pietra grigia. È destinata, invece, a rimanere ignota l'identità del personaggio sepolto nel massiccio sarcofago romano, decorato da un bassorilievo raffigurante Achille a Sciro, che si incontra nella sala dedicata ad Andrea Doria, al piano inferiore dell'abbazia. Il nome della nobile famiglia genovese, che non cessò mai di proteggere San Fruttuoso, al punto da acquistare l'intera abbazia nel 1855 per impedirne la requisizione, ritorna ancora nella severa torre quadrangolare eretta nel Cinquecento dagli eredi dell'ammiraglio. La Torre Doria con lo stemma del casato e l'aquila imperiale sulle due facciate svetta fra la vegetazione, in posizione strategica, lungo il sentiero che collega l'abbazia al borgo. La visita alla chiesa monastica, cui si accede dalla sacrestia ricavata nello stesso periodo, presenta alcuni degli elementi architettonici più antichi dell'intero complesso. Gli intonaci e la pavimentazione sono del X secolo mentre la cripta, che doveva accogliere le spoglie degli abati, fu aggiunta nel Duecento. Sull'altare maggiore è posto il cofanetto argenteo con le reliquie del vescovo Fruttuoso e dei suoi diaconi Augurio ed Eulogio. Sono aperti al pubblico anche la grande sala capitolare e i due piani dell'abbazia. In questi ambienti è stato allestito un museo che raccoglie le testimonianze sulla storia di questo luogo di culto, del suo tempo e della vita dei monaci. In alcuni tavoli-vetrina, in particolare, sono custodite ceramiche da tavola e da cucina (alcune di provenienza islamica) usate dai monaci fra il XIII e il XIV secolo. Le ceramiche furono rinvenute in un deposito scoperto durante i lavori di ristrutturazione realizzati negli anni '90 dal Fai, che gestisce il complesso. Al largo della spiaggetta prospiciente l'abbazia, 17 metri sotto la superficie marina, giace dal 1954 la statua del Cristo degli abissi, scolpita dall'artista genovese Guido Galetti. La grande statua, ancorata da un basamento di 90 tonnellate, ricorda tutte le vittime del mare ed è oggetto di una toccante cerimonia che si svolge ogni anno nell'ultima domenica di luglio: una processione si muove dall'abbazia alla spiaggia, alla luce delle fiaccole che vengono poi passate ai sub. Raggiunta la statua, uno dei sub si immerge per deporre una corona d'alloro ai piedi del Cristo. Il rito si conclude con una messa notturna sulla spiaggia.