Il San Carlo è il più antico teatro operante in Europa. Costruito nel 1737, non ha mai sospeso le sue stagioni eccetto nel periodo compreso tra il maggio 1874 e il dicembre 1876 allorché, a causa della grave crisi economica di quegli anni, vennero meno le abituali sovvenzioni. Il San Carlo fu costruito per volontà del sovrano Carlo di Borbone, deciso a dare a Napoli un teatro che svolgesse la funzione di rappresentanza del potere regio, prendendo così il posto del piccolo e vetusto San Bartolomeo. Il 4 marzo 1737 fu firmato il contratto con l'architetto Giovanni Antonio Medrano e con l'appaltatore Angelo Carasale, già direttore del S. Bartolomeo. Otto mesi dopo l'inizio dei lavori, il 4 novembre, il teatro era già ultimato. Il San Carlo fu inaugurato con l'opera Achille in Sciro di Metastasio, con musica di Domenico Sarro che diresse l'orchestra e tre balli creati da Gaetano Grossatesta. L'assetto interno dell'edificio di Medrano è oggi ricostruibile sulla base di un dipinto di Michele Foschini e di alcuni rilievi eseguiti da illustri architetti europei in visita alla sala. Le numerose testimonianze tramandate da viaggiatori ed illustri visitatori sono generalmente concordi nel celebrare la vastità della sala e dei palchi, pur se a discapito dell'acustica, e la sontuosità della decorazione. Non di rado si riscontrano nelle descrizioni singolari osservazioni, come le originali poltroncine della platea dotate di schienali pieghevoli e chiudibili con serrature, ricordate nel 1765 dal famoso chirurgo inglese Samuel Sharp. Una minore attenzione, forse a causa dei vincoli determinati dalle preesistenze, era stata rivolta dall'architetto agli ambienti di ingresso e alla facciata esterna. Poco rappresentativo della funzione dell'edificio, il prospetto presentava tre portali che immettevano in altrettante scale raccordate ad una stretta “Galleria”. Da questa era possibile accedere direttamente ai corridoi di servizio dei palchi e alla platea. Nell'arco del Settecento, l'edificio vede diversi ammodernamenti sollecitati dalla necessità di migliorarne l'acustica, come l'intervento diretto da Giovanni Maria Galli Bibiena il Giovane nel 1742, oppure dalle mutate esigenze del gusto. Un esempio significativo è il sontuoso apparato realizzato da Vincenzo Re nel 1747 per la “Gran Festa da Ballo” in occasione della nascita del primogenito reale. Ristrutturazioni permanenti furono invece eseguite da Ferdinando Fuga dapprima nel 1767-68 in occasione del matrimonio di Ferdinando IV con Maria Carolina e di nuovo nel 1777-78. Con i primi lavori l'architetto toscano provvede a rinnovare la decorazione dell'auditorio e inserisce all'interno dei palchi grandi specchi provvisti di torciere con candele, che, sfruttando l'effetto di riflessione, moltiplicavano l'illuminazione della sala producendo “uno splendore troppo abbagliante per gli occhi” come ricorda il compositore e erudito inglese Charles Burney. Il successivo intervento riguarda quasi esclusivamente il boccascena, ricostruito con il raddoppio dei pilastri e l'inserimento dei palchi di proscenio, utili ad alloggiare altro pubblico pagante. Un nuovo capitolo si apre con l'ascesa al trono di Gioacchino Murat nel 1808, come è noto promotore di una politica di embellissement della città, e la gestione di Domenico Barbaja, dal luglio del 1809. Regista delle trasformazioni è Antonio Niccolini, caposcuola del Neoclassicismo a Napoli, che a più riprese interverrà sull'edificio fissandone progressivamente la fisionomia che ancora oggi possiamo osservare. La prima tappa della metamorfosi riguarda la facciata, con la conseguente aggiunta del ridotto e degli ambienti di ricreazione e ristoro. I lavori, avviati già nel dicembre 1809, verranno conclusi due anni dopo. Per il portico carrozzabile sostenuto da pilastri va certamente tenuto in conto il modello offerto dalla Scala di Giuseppe Piermarini, modificato tuttavia dall'inserimento, al secondo registro della facciata, della loggia ionica corrispondente agli ambienti del ridotto. Con questa soluzione il teatro acquista le connotazioni del tempio, inglobando nella facciata elementi della grammatica classicista e una decorazione ellenizzante allusiva alla poesia drammatica e alla musica. Non meno interessante è il ridotto, oggi sede del Circolo dell'Unione, che si presenta in forma di una grande sala tetrastila, con elegante decorazione vegetale in oro, fiancheggiata da ambienti minori, destinati secondo il progetto autografo di Niccolini alle sale da gioco. Nella notte del 13 febbraio 1816 un incendio devastava l'edificio lasciando intatti i soli muri perimetrali e il corpo aggiunto. La ricostruzione, compiuta nell'arco di nove mesi e sempre diretta dall'architetto toscano, ripropone a grandi linee la sala del 1812 conservandone l'impianto a ferro di cavallo e la configurazione del boccascena. Viene modificata invece la decorazione delle balconate, integralmente conservata a meno delle dorature e ridipinture eseguite nei successivi restauri. L'apporto di Niccolini non si ferma alla ricostruzione, ma in quanto “Architetto decoratore de' Reali Teatri” sovrintende anche ai numerosi successivi interventi di manutenzione e di restauro. Fra questi va almeno menzionato l'ammodernamento compiuto nel 1844, assieme al figlio Fausto e a Francesco Maria dei Giudice, che comprende la trasformazione della tappezzeria dei palchi da azzurro in rosso, e il rifacimento delle decorazioni per adeguarle alla nuova tonalità dominante nella sala. Anche il tondo centrale
del velario viene ridipinto da Antonio, Giuseppe e Giovanni Cammarano riprendendo il soggetto delle precedenti edizioni. Completava l'arredo fisso della sala il sipario, più volte ridipinto da Giuseppe Cammarano e sostituito nel 1854 dall'attuale esemplare dovuto a Giuseppe Mancinelli e Salvatore Fergola, raffigurante un «simbolico Parnaso» con ottanta poeti e musicisti. Va infine ricordato l'attuale foyer realizzato su disegno di Michele Platania nel 1937, creando un nuovo corpo di fabbrica nella zona orientale del giardino di Palazzo Reale. Distrutto da un bombardamento nel 1943, è stato ricostruito nell'immediato dopoguerra.
Fonte: Teatro San Carlo
www.teatrosancarlo.it