È il vino rosso più celebrato della Sardegna, ma anche il vitigno dei sardi, se si considera che quasi il 30% delle coltivazioni a vite, sull'isola, sono destinate a quest'uva a bacca rossa straordinariamente densa di profumi e aromi. Sulle origini del Cannonau (Cannonao, Cannonadu o Cannonatu nei vari dialetti sardi) scarseggiano notizie precise, ma di certo dovette essere importato dagli spagnoli fin dall'inizio della loro denominazione in Sardegna. Del resto il nome rimanda chiaramente al Canonazo sivigliano e identifica un vitigno largamente diffuso in Europa, da cui traggono origine anche il Granaxa aragonese e il Grenache francese. In Sardegna e soprattutto nella provincia di Nuoro, dove sono concentrate molte fra le produzioni di maggior pregio, il Cannonau si è però adattato a terreni accidentati, dove non è facile introdurre la coltura meccanizzata, e a un clima particolarmente secco e soleggiato. A tutto vantaggio della qualità, perché le tradizionali colture “ad alberello”, sostenute dal legno robusto della pianta, garantiscono i migliori risultati in termini di qualità. Dalle nuove tecniche “a spalliera”, invece, si ottiene un nettare dal tenore alcolico più contenuto, ma forse anche meno deciso e meno adatto all'invecchiamento, che deve essere di almeno un anno, in botti di rovere o castagno, secondo il disciplinare di produzione del Cannonau Doc. La gradazione si aggira attorno al 13,5% ma è naturalmente destinata ad aumentare con l'invecchiamento (che supera i tre anni nella versione “Riserva”) o nelle varianti “liquoroso secco” e “liquoroso dolce naturale”. Rare e comunque non superiori al 10% sono le aggiunte di altri vitigni autoctoni. Il carattere si manifesta in calice, a cominciare dal bellissimo colore rubino intenso, tendente al granata quando la maturazione è elevata. Il caratteristico profumo ricorda la frutta rossa (more, prugne o la stessa uva) e lascia spazio a sentori di resina e fiori. Al gusto, poi, può variare di molto dal secco all'abboccato ma si rivela sempre molto ben strutturato, armonico e persistente, con un leggero retrogusto tannico. Tutte qualità che ne fanno il compagno ideale per arrosti di carni rosse, carni in umido, primi piatti al sugo di carne, ma anche per formaggi ovini stagionati particolarmente robusti: non solo il pecorino sardo, quindi, ma anche quello romano. Attualmente sono tre le sotto-denominazioni riconosciute per il Cannonau: “Capo Ferrato” per il vino proveniente dai comuni cagliaritani di Muravera, San Vito, Villaputzu e Villasimius; “Jerzu” per i comprensori di Jerzu e Cardedu nel nuorese; “Nepente di Oliena” per il Cannonau di Oliena e Orgosolo, sempre in provincia di Nuoro. Quest'ultima è la denominazione più famosa, direttamente tratta dal IV libro dell'Odissea, dove Omero cita appunto il nepente riferendosi a una pianta simile all'oppio, da infondere nel vino per lenire ogni dolore e donare l'oblio. Del resto il Nepente di Oliena è largamente decantato in una lettera inviata da Gabriele D'Annunzio (che di cerimonie bacchiche se ne intendeva) all'amico Hans Barth, sincero estimatore dei vini italiani. Così scriveva il poeta vate: «Non conoscete il Nepente d'Oliena neppure per fama? Ahi lasso! Io son certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall'ombra delle candide rupi, e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellette scalpellate nel macigno che i Sardi chiamano Domos de Janas, per quivi spugnosamente vivere in estasi fra caratello e quarteruolo. Io non lo conosco se non all'odore; e l'odore, indicibile, bastò a inebriarmi».