Nel cuore verde d'Abruzzo, un corridoio fra tre parchi naturali guida alla scoperta della cucina tipica appenninica: prodotti della terra e pietanze che si identificano con tradizioni plurisecolari, pressoché insensibili allo scorrere del tempo. I sapori e gli odori della costa sono lontani, e così pure i succulenti brodetti di Giulianova, Pescara o Vasto. Fra i più imponenti massicci dell'Appennino prevale decisamente una cultura gastronomica ad alto contenuto calorico, prodiga di soddisfazioni per il palato. Molti i fili conduttori: innanzitutto il Montepulciano d'Abruzzo, le cui origini si perdono nella notte dei tempi ma sono sicuramente antecedenti rispetto all'omonimo vitigno toscano. Le prime colture del Montepulciano in regione interessarono la Valle Peligna (La Majella a est, il Gran Sasso a ovest) e la valle del fiume Pescara. Una leggenda racconta che perfino l'inarrestabile Annibale, durante la sua lunga manovra di accerchiamento su Roma, contasse sulle virtù di questo vino per corroborare uomini e cavalli. Oggi nessuno si sognerebbe di elargire al proprio cavallo uno dei più nobili rossi italiani, capace di inebriare già con il profumo o con lo splendido color rubino che, con l'invecchiamento (almeno un anno in botti di rovere e poi in bottiglia) assume gradualmente riflessi più scuri o violacei. Con il Montepulciano si annaffiano i bolliti e gli arrosti di carne (soprattutto d'agnello o di pecora) che scaldano le serate in montagna, e in particolare il celebre agnello cace e ove, “irrobustito” dalla presenza di pecorino e uova. Eccellenti anche gli abbinamenti con la ventricina dei monti della Laga e con i formaggi ovini stagionati. Il repertorio abruzzese, in fatto di latticini, è però ben più vasto, comprendendo i formaggi freschi, le ricotte affumicate e non, le mozzarelle di bufala, fiordilatte e ricercatissimi formaggi al tartufo. Lo stesso tartufo costituisce un altro dei temi conduttori: fra questi monti se ne registrano ben 28 varietà e il più diffuso è, naturalmente, il nero. Il suo impiego in cucina coinvolge non solo i primi piatti, ma anche l'olio e le salsicce. Stesso discorso vale per lo zafferano che insaporisce perfino il caffè e i dolci. Il fiore Crocus Sativus, dai cui pistilli si ottiene la regina delle spezie, fu importato per la prima volta in Italia nel Duecento, proprio alle pendici del Gran Sasso, per mano di un monaco domenicano di Navelli. In breve divenne una merce di scambio fra le più pregiate, e in un certo senso lo è tuttora, anche grazie alla tutela del marchio Dop. L'itinerario su strada nei luoghi della tradizione gastronomica popolare parte da uno dei “Borghi più belli d'Italia”, Scanno. Un presepe di pietra appollaiato su uno sperone roccioso a mille metri d'altitudine, con vista sulla Valle del Sagittario. Il borgo medievale, un intrico di vicoli digradanti verso valle, non necessita di presentazioni perché tantissimi artisti ne hanno già alimentato la fama. I piccoli tesori architettonici di Scanno e i gioielli che spiccano sui costumi tradizionali femminili sono il simbolo della ricchezza raggiunta un tempo dai “pastori” (piccoli e grandi proprietari di bestiame). La lavorazione della lana e l'oreficeria caratterizzano tuttora l'artigianato locale. Dopo una stimolante passeggiata fra le botteghe del borgo ci si mette a tavola per gustare primi piatti storici come i maccheroni alla chitarra e le sagne e fagioli, le salsicce di fegato e la brace d'agnello, la mortadella di Campotosto. Per il dessert c'è l'imbarazzo della scelta fra gli amaretti, i mostaccioli (frutto del felice matrimonio fra cioccolato e pasta di mandorla) e il pan dell'orso, soffice dolce di mandorle e miele coperto da un fine strato di cioccolato. Costeggiando il Lago di Scanno, meta turistica fra le più gettonate della regione si raggiunge Anversa degli Abruzzi, splendido borgo di origini normanne a pochi chilometri dal Parco Regionale Sirente-Velino. Gabriele D'Annunzio vi ambientò la sua tragedia preferita: “La fiaccola sotto il moggio”. L'itinerario in centro si snoda fra chiese pittoresche e i ruderi del castello, quello gastronomico deve iniziare con il prodotto simbolo del paese: la ricotta affumicata di Anversa premiata con la medaglia d'oro alle Olimpiadi del formaggio di montagna del 2002. Piatti tipici del borgo sono i quagliatelli e fagioli, minestra di pasta fatta a mano da arricchire eventualmente con le cotiche, e le saporose pignate di legumi (la pignata è il recipiente in terracotta usato per la cottura), cui si aggiunge il capretto cace e ove. Per dolce: ceci ripieni e pizzelle, ovvero cialde cotte in una pinza di ferro rovente. Da Anversa si piega verso est, sfiorando il Parco Nazionale della Majella. Prima di toccare Sulmona si può prendere in considerazione una deviazione sulla panoramica “Strada dei Parchi”, che permetterebbe di toccare Prezza, un paesino ricco di peculiarità gastronomiche: carciofi, pane e amaretti su tutto. Due sono i motivi di vanto per Sulmona: l'aver dato i natali a Ovidio e la tradizione di confetti. Entrambi non rendono giustizia a una cittadina densa di attrattive artistiche e culinarie. Le infinite varietà e i colori dei confetti (ciascuno dei quali legato a una ricorrenza) spiccano, in verità, per le vie del centro. A Sulmona si utilizzano le pregiate mandorle di Avola, anche se la produzione dei confetti si è diversificata enormemente e attualmente vanta specialità come i cannellini, i tenerelli, le fedi intrecciate, i confetti al cioccolato e via discorrendo. Presso la storica Fabbrica di Confetti Pelino (attiva dal 1783) si può anche visitare un museo dell'arte confettiera che conserva cimeli e oggetti rari legati al confezionamento del dolce augurale per eccellenza. Nei ristoranti si gusta il meglio della cucina della Valle Peligna: dai risotti allo zafferano (milanesi solo per adozione) ai tanti piatti di verdure impreziositi con l'aglio rosso di Sulmona, una varietà unica in Italia. Il pasto non si chiude certo con i confetti, bensì con i ceci ripieni o con gli scarponi, dolcetti della tradizione natalizia ottenuti impastando cioccolato, cacao amaro, uva sultanina, cedro candito, cannella e mandorle. Per la passeggiata digestiva, da non mancare una visita al Complesso dell'Annunziata (degli inizi del Settecento) alla chiesa di San Francesco della Scarpa e a Piazza Garibaldi, la sede del mercato cinta da un imponente acquedotto medievale ottimamente conservato. Imboccata la Statale 17 in direzione nord, l'itinerario può concludersi a Pratola Peligna, dove si fa incetta di prodotti tipici. In primo luogo i maccheroni “a sezione quadrata” forgiati sulla chitarra (da gustare col sugo d'agnello) e gli gnocchetti di patate, poi gli ottimi fagioli della Conca Peligna, le pizzelle al mosto cotto e, per concludere, l'ottimo Moltepulciano locale e la variante Cerasuolo dal colore rosso ciliegia: il vino della tradizione per gli abruzzesi veraci; uno dei migliori rosati al mondo per gli esperti.