Povera ma tipicamente mediterranea, impreziosita da un olio senza pari al mondo e da tradizioni plurisecolari come quelle che valorizzano le lumache e lo stoccafisso: è la cucina della Valle Argentina, nell'entroterra ligure. Un territorio ricco di suggestioni storiche e punteggiato da borghi sonnacchiosi e romantici. La valle, di per sé, presenta scenari incantevoli: a nord si innalzano le cime delle Alpi Liguri, al di sotto delle quali è un susseguirsi di dolci colline il cui profilo è stato influenzato, nei secoli, dal paziente lavoro di terrazzamento. Le fasce coltivate a ulivi si estendono sino a quote impensabili, per restituire un olio pregiato e le celeberrime olive taggiasche. I boschi di castagno, le faggete, i vigneti, i pascoli e persino il corso dei torrenti sono il risultato di una lenta e faticosa opera iniziata all'alba della storia e mai interrotta, sempre nel totale rispetto della natura e degli ecosistemi. A sud, nel punto in cui la valle si apre per abbracciare il mare, è distesa Taggia, cittadina medievale cresciuta sotto l'impulso dei monaci benedettini. Furono loro a importare l'ulivo da Montecassino. Oggi dall'ulivo taggiasco si ottiene un olio ricercatissimo per il suo bassissimo tasso di acidità, per il gusto leggero, morbido e fruttato con sentori di mandorle e pinoli che accompagna degnamente i migliori piatti a base di pesce. Ma ogni frantoio della valle permette di assaggiare un olio con sfumature differenti. Il centro storico del paese è un gioiello rinascimentale, tutto strade lastricate, eleganti palazzi signorili e chiesette romaniche che custodiscono importanti opere d'arte. Nella Parrocchiale dei Santi Filippo e Giacomo, ad esempio, si ammira una tela di Luca Cambiaso. Da visitare anche il convento di San Domenico, storico centro culturale e artistico divenuto, col tempo, una ricchissima pinacoteca. Prima di risalire la Valle Argentina si può fare un salto nel borgo di Bussana Vecchia, un villaggio medievale distrutto dal terremoto del 1887 e recuperato negli anni '60 grazie all'intervento di una comunità di artisti, molti dei quali ricrearono qui la propria dimora. La fama del “paese degli artisti” si è diffusa nel mondo e attira ogni anno migliaia di turisti da ogni angolo del pianeta. Imboccando la strada provinciale 548 si risale la valle scavata dal torrente Argentina, raggiungendo Badalucco. Il centro abitato è delimitato da due pittoreschi ponti tardomedievali a schiena d'asino. Ma la caratteristica più nota del paese è la presenza di una galleria d'arte a cielo aperto: opere in ceramica e legno, sculture, dipinti e murales abbelliscono le stradine del borgo. Anche le fontane sono state restaurate e decorate in modo fantasioso. Al di là dell'olio pregiato e dei gustosi primi piatti a base di pesto, la cucina tipica di Badalucco vanta una ricetta millenaria per la preparazione dello stoccafisso, cui è dedicata anche una storica sagra che si tiene nel mese di settembre. Lo stoccafisso alla Badalucchese vede come protagonista il merluzzo importato dal nord Europa fin dal Medioevo che, cotto in un intingolo di pinoli, noci, nocciole, olive e amaretti, ammorbidisce il suo gusto deciso con le delicate note aromatiche della frutta secca. Narra la leggenda che gli abitanti di Badalucco riuscirono addirittura a respingere un tenace assedio saraceno grazie alle ingenti scorte di stoccafisso a disposizione della popolazione. Da assaggiare anche i preziosi fagioli bianchi detti rundin: carnosi, morbidi e delicati, di probabile provenienza spagnola, i rundin si coltivano solo in tre comuni dell'imperiese (Badalucco, Conio e Pigna) e accompagnano tradizionalmente piatti a base di carne, specialmente di capra. Proseguendo verso nord si attraversa Montalto Ligure, un altro centro che ha conservato la sua struttura medievale. Affreschi trecenteschi decorano la Pieve di San Giorgio, mentre la chiesa di San Giovanni Battista e l'oratorio di San Vincenzo conservano dipinti di Luca Cambiaso e Ludovico Brea. La specialità di Montalto Ligure è la frandura, un appetitoso tortino salato di patate che costituisce uno dei tipici piatti poveri della valle. In suo onore si celebra una sagra nel terzo fine settimana di agosto. Altra sosta obbligata, nella marcia di avvicinamento alle Alpi, è il villaggio di Molini di Triora, che vanta una singolare tradizione nella preparazione e nell'esaltazione delle lumache. Una tradizione che rivive ogni anno nella affollatissima sagra settembrina. Oltre che da una vasta gamma di aromi mediterranei, la carne di lumaca viene qui insaporita con brodo di carne e con l'ottimo vino Ormeasco, il rosso delle Alpi Liguri, che pare sia stato importato dai Saraceni. Il paese dei 23 mulini (tanti ne contava all'inizio dell'Ottocento) è famoso anche per la molitura della farina, da cui nasce lo squisito pane di Triora. Universalmente conosciuto come “paese delle streghe”, Triora è anche la meta finale di questo itinerario. Il suo nome fa riferimento alle tre bocche di Cerbero, riprodotte sullo stemma comunale. Visitando questo borgo dal fascino misterioso, annoverato fra i più belli d'Italia, ci si muove fra stradine tortuose, piazzette, scalinate, antiche case con portoni in ardesia, resti di torri e fortificazioni medievali. La leggenda delle streghe risale alla fine del Cinquecento, quando il paese fu teatro di uno storico processo contro un gruppo di donne accusate di stregoneria. Sulle loro spalle fu addossata la responsabilità di una tragica carestia. I casolari abitati dalle “streghe” di Triora sono visibili ancora oggi, ma per approfondire l'atmosfera e la cultura che diede origine a questi fatti bisogna visitare il locale Museo Etnografico e della Stregoneria. Fra le molte chiese interessanti spicca la Collegiata dell'Assunta, dove è conservato un dipinto di Taddeo di Bartolo. A tavola, nelle pittoresche trattorie del borgo, si gusta il pane della tradizione contadina, cotto una volta alla settimana e capace di resistere nelle giornate di lavoro nei campi. Il gusto deciso e rustico è dovuto alla farina di grano tenero e grano saraceno. Sulle fette di pane si spalma il bruzzo, il formaggio tipico della Valle Argentina: una soffice ricotta di latte ovino, lasciata fermentare in contenitori di larice per alcuni mesi. Dalla stagionatura deriva il gusto leggermente piccante. Da assaggiare, inoltre, anche le castagne secche della varietà “garessina”, piccole e gustose, meglio se innaffiate con l'Ormeasco o con il Rossese di Dolceacqua, l'altro punto di forza della tradizione enologica imperiese.