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Lunedì, 14/10/2024
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Nella terra dell'Aglianico, da Melfi a Barile

vigneti del vulture

Sarà forse in virtù del secolare isolamento di molti suoi centri abitati, o per un'innata vocazione culturale, ma la Basilicata è senz'altro una delle regioni italiane che ha saputo conservare meglio il suo patrimonio gastronomico, peraltro ricchissimo, mantenendo intatte le caratteristiche dei suoi prodotti tradizionali e le tecniche di lavorazione. Qualche esempio è sufficiente a rendere l'idea: la salsiccia e la soppressata tagliate a punta di coltello, i peperoni cruschi (meglio noti come peperoni di Senise Igp), una gamma sconfinata di formaggi saporiti fra cui spiccano il caciocavallo podolico della Basilicata e il pecorino di Filiano, da abbinare giocoforza con un nobile vino greco come l'Aglianico del Vulture Doc. Un percorso ad anello attraverso alcuni fra i centri più interessanti del potentino è il modo migliore per saggiare la genuinità di questi prodotti, con gli scenari selvaggi del Monte Vulture a fare da sfondo. La località di riferimento è Melfi, raggiungibile dalla A16 (uscita per Candela). Per coltivare l'appetito, si consiglia una visita all'imponente castello di Federico II di Svevia e alla splendida Cattedrale di origini normanne. Elementi dell'architettura normanna sono visibili un po' in tutto il borgo antico di questo centro che fu la località estiva prediletta da Federico. Dagli estesi uliveti e castagneti del Vulture derivano due preziosissime risorse culinarie: l'Ogliarola del Vulture, un extravergine dal gusto dolce mandorlato ottenuto con spremitura a freddo, e i ricercati Marroncini di Melfi. Il periodo di raccolta delle castagne coincide con la prima metà dell'autunno, ma solo una parte di questi frutti è destinata al consumo fresco. Il resto viene convogliato verso le industrie di trasformazione, soprattutto dolciarie, che sfornano i marrons-glacés. I piatti tipici melfitani si scoprono in alcuni ristoranti, nel centro o nelle contrade limitrofe: da assaggiare i maccuarnar, maccheroncini freschi da condire con sugo di funghi, coniglio o maiale, e il pancotto alla melfitana. Da Melfi si raggiunge in breve Rapolla, località termale dove si concentrano, fra l'altro, molte sorgenti della rinomata acqua minerale del Vulture. Anche qui è d'obbligo una visita alla imponente Cattedrale romanico-bizantina, impreziosita da un bel portale lavorato da artisti lucani, prima di proseguire alla volta di Venosa. La città natale di Orazio è anche il posto ideale per fare incetta di salumi lucani: il capocollo, il filone e la soppressata. Quest'ultima si ottiene da carni di suino locale, cioè di razza nera, lavorato a mano a punta di coltello con l'aggiunta di lardo tagliato a cubetti e conciato con sale e pepe nero. La stagionatura dura quattro o cinque mesi ma si conserva sott'olio o sugna per un periodo molto più lungo. Da non perdere, poi, l'incontro con la pezzente, una salsiccia che si prepara con carni povere, inutilizzabili altrimenti, macinate finemente e impastate con sale, finocchio selvatico e il “bellicoso” peperoncino locale. Le cantine di Venosa offrono un primo assaggio delle migliori produzioni di Aglianico del Vulture. Sulle tavole venosine non mancano gli strascinati, una pasta fatta in casa, condita semplicemente con sugo e cacio ricotta grattugiato. Ricotta fresca e butirri (piccole provole ripiene di burro delicato) costituiscono il vanto delle aziende casearie, ma il piatto storico sono le lagane, tagliatelle larghe e spesse di farina di grano duro, accompagnate con ceci e porri: una zuppa saporita, celebrata già da Orazio e definita “piatto del brigante” dalla tradizione popolare. In città le suggestioni artistiche, fra chiese, fontane e rovine d'epoca romana, sono numerosissime. Si resta stupefatti dalla mole dei quattro torrioni che delimitano il Castello Aragonese, dove dimorò il “principe dei musici” Carlo Gesualdo. Si riparte perciò a malincuore, per imboccare la strada che si snoda tortuosa, fra colli boscosi, toccando Forenza e Acerenza. L'antichissima Acherontia (così la chiamava Orazio) sorge infatti sulla cima di un poggio, simile a un nido d'aquila. La Cattedrale dell'Assunta è un capolavoro romanico-cluniacense dal fascino millenario. Da ogni arco o capitello sporgono figure mitologiche, fantastiche o mostruose, che proiettano nel cuore del Medioevo. Antico è anche il sapore delle pietanze locali: i maccaroun a desct e i z'zridd, due varietà di pasta fresca da condire con sugo di carne o legumi. Le massaie di Acerenza usano le lagane per preparare un dolce speziato con cannella, noci, mandorle e insaporito con vino cotto. Un bicchiere di Aglianico accompagna ottimamente anche la soppressata acherontina. Attraverso Pietragalla si gira attorno al Monte Torretta e si risale per Filiano, dove è bene fermarsi ad assaggiare gli ottimi formaggi locali, e specialmente il pecorino di Filiano, un formaggio a pasta dura che i pastori lucani producevano anticamente durante la transumanza. La produzione di oggi ricalca le tecniche della tradizione, compresa la stagionatura in grotte naturali che deve durare otto mesi. Nella cucina locale è un valido alleato del ragù alla potentina e dell'agnello al forno. Risalendo il comprensorio dell'Aglianico verso Melfi si attraversano Rionero in Vulture e Barile, costeggiando vigneti di pregio. La cucina di Rionero in Vulture si fonda su saporiti arrosti e salumi, da innaffiare con il nettare rosso che nasce dal vitigno di origine greca. Da gustare anche il burrino farcito con la soppressata, dalla caratteristica forma a pera. La dolcezza del burro mitiga il gusto forte del salume adagiato al centro, creando una vera sinfonia di sapori. L'ultima sosta, prima del rientro a Melfi, va fatta a Barile, dove si visitano le cantine dello “Scescio”, una successione di grotte scavate nella roccia dai primi abitanti albanesi del borgo. Qui Pier Paolo Pasolini ambientò il suo “Vangelo secondo Matteo”, e qui l'Aglianico invecchia nelle botti, prima di essere travasato in bottiglia.

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