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Selinunte, la gloria e la distruzione

selinunte

Bella, potente e prosperosa, Selinunte ebbe storia felice ma piuttosto breve. Per merito della protezione di Cartagine si impose come la più importante colonia greca della Sicilia occidentale, e per causa della stessa Cartagine conobbe la distruzione, in ossequio al principio crudele della ragion di stato. Fu fondata presumibilmente attorno al 627 a.C. da navigatori provenienti da Megara Iblea. La scelta del luogo fu quanto mai indovinata: il promontorio sui cui ancora oggi è distesa l'acropoli, da cui fra l'altro si gode di una vista incantevole sul mare, era chiuso ai lati da due fiumi navigabili, il Selinon e il Cottone. Oggi questo territorio è compreso nel comune di Castelvetrano (Trapani). L'importanza cruciale del doppio approdo e del porto, l'abbondanza di acqua, la fertilità della terra e la pescosità del mare assicurarono uno sviluppo rapidissimo a Selinunte, che arrivò a contare 25.000 “cittadini”, anche grazie alle successive immigrazioni dalla madrepatria, e una popolazione complessiva attorno alle 170.000 unità. La rivalità eterna con Segesta nei commerci e nel controllo del territorio fu il motivo dell'alleanza, apparentemente innaturale, con Cartagine nella guerra che vide i punici opposti ai greci di Sicilia, nel 480 a.C. Una scelta premiata dal successo, almeno in un primo momento, ma pagata con la perdita dell'indipendenza. Più tardi, nel 409, fu proprio Segesta a rinunciare all'alleanza con Atene (ormai in declino), invocando la protezione della potenza nord-africana contro l'aggressione selinuntina. Come effetto delle mutate strategie militari, per nove giorni Selinunte fu assediata da un esercito di 100.000 cartaginesi, finendo con l'essere espugnata e completamente distrutta, almeno secondo il racconto di Diodoro Siculo. In realtà la città si risollevò a fatica, ma solo per conoscere la distruzione definitiva nel corso della prima guerra punica, quando ancora Cartagine la rase al suolo per impedire che cadesse nelle mani del nemico. I resti di Selinunte e le testimonianze granitiche della sua grandezza cominciarono a riemergere dalla sabbia e dalla vegetazione nel XVI secolo, per effetto delle ricerche dello storico domenicano Tommaso Fazello. Solo nell'Ottocento, però, iniziarono gli scavi veri e propri, condotti a più riprese da studiosi inglesi, tedeschi e italiani. Nel 1885 lo scrittore francese Guy De Maupassant definiva le rovine di Selinunte come “le più vaste che esistano in Europa”. L'affermazione è valida tuttora, vista l'estensione del parco archeologico che può essere visitato più comodamente a bordo di piccole vetture elettriche. In alternativa ci si può spostare in auto lungo il perimetro dell'area, sfruttando gli accessi al parco in corrispondenza delle zone di maggior interesse. La prima è quella della collina orientale, occupata dai resti di tre grandi templi. In particolare, quello che gli archeologi chiamano tempio E è l'unico a essere stato ricostruito con i materiali recuperati durante gli scavi, divenendo il simbolo della grandezza di Selinunte. Fu costruito in puro stile dorico nel terzo decennio del V secolo a.C., rivolto verso il sole nascente (come tutti i templi greci e latini) e dedicato a Era. Le rovine del poderoso tempio G, dedicato a Zeus, rendono l'idea di uno dei più colossali edifici sacri dell'antichità classica: lungo 113 metri e largo 54, doveva avere uno sviluppo in altezza di circa 30 metri. La sua costruzione si protrasse forse per un secolo e non fu mai completata, data la presenza di alcune colonne prive di scanalature. La forma del tempio anticipa i canoni classici sintetizzati nel Partenone di Atene. La seconda area sacra sorgeva al centro della collina dell'acropoli, circondata da un reticolo di strade che si intersecano ad angolo retto e chiusa da imponenti mura a gradoni (in parte ancora in piedi). Su quest'area svettano 14 colonne del tempio di Apollo (tempio C), innalzato verso la metà del VI secolo a.C. su un'area di 71 metri per 27 circa. Nel timpano era posta la famosa testa di Medusa, cui era affidato il compito di proteggere la città dagli spiriti maligni. Oggi la si può ammirare nella sala “Selinunte” del Museo Archeologico Regionale di Palermo, al pari delle metope provenienti dal tempio di Era e di molti altri elementi scultorei. Nell'acropoli resistono anche dodici colonne del tempio A (detto di Castore e Polluce) che doveva essere il più elegante e ben proporzionato. Le tracce del periodo punico sono qui particolarmente evidenti: nel pronao si conserva un mosaico raffigurante il segno di Tanit, la più potente e temuta divinità fenicia che esigeva addirittura il sacrificio del primogenito. La visita agli scavi può proseguire toccando il santuario di Demetra Malophoros (nella terza area sacra situata in contrada Gaggera) che spicca per dimensioni fra gli edifici dedicati ai culti misterici. Il più straordinario esempio dell'arte scultorea locale, naturalmente ispirato ai canoni attici, si conserva invece nel Museo Civico di Castelvetrano: il celebre “Efebo di Selinunte” è una statuetta bronzea alta 85cm, splendida per armoniosità ed eleganza ma segnata da una storia tormentata. Fu scoperta da un pastorello nel 1882, venduta al Comune di Castelvetrano per poche lire, trascurata per decenni, quindi trafugata e invano messa all'asta ripetutamente (il furto era troppo clamoroso) fino al drammatico recupero a Foligno, al termine di uno scontro fra polizia e malviventi.

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