C'è una rassegna inestimabile della pittura italiana fra XIII e XIV secolo lungo le pareti della Basilica di San Francesco ad Assisi. Accanto al celeberrimo ciclo attribuito a Giotto, che ripercorre la vita del Poverello partendo dalla maggiore età, la basilica è infatti adorna dei dipinti realizzati dai più importanti maestri attivi fra il Duecento e il Trecento: Cimabue, Simone Martini, Pietro Lorenzetti e altri rimasti ignoti. Come è noto la basilica è composta da due chiese sovrapposte la cui edificazione, completata attorno alla metà del Duecento, rappresenta un punto di snodo per l'arte italiana e per la diffusione dello stile gotico. Alla chiesa inferiore, originariamente concepita come una cripta per ospitare le spoglie di San Francesco, si accede dalla meravigliosa Piazza Inferiore, cinta da portici quattrocenteschi. L'aspetto dell'ambiente (un'unica navata sorretta da bassi pilastri) ricalca la semplicità del modello francescano. La navata è abbellita dagli affreschi di un pittore universalmente noto come il Maestro di San Francesco, mentre altri artisti lavorarono alle decorazioni pittoriche delle varie cappelle. In particolare la prima cappella di sinistra presenta le Storie della vita di san Martino di Simone Martini. La terza a destra fu affrescata dal giovane Giotto e dalla sua scuola. Nella volta del presbiterio gli affreschi allegorici sono attribuiti agli allievi del pittore di Vespignano. Lo stesso Giotto e Pietro Lorenzetti lavorarono nel transetto: il primo nell'ala destra, dove sono rappresentate le Storie della vita di Cristo, il secondo nell'ala sinistra, con le scene della Passione. Dal transetto si sale alla chiesa superiore gotica, per ammirare l'opera di Cimabue nel transetto, e soprattutto uno dei più famosi capolavori dell'arte italiana. Su entrambe le pareti della navata, sotto i dipinti degli allievi di Cimabue e altri di scuola romana, è raffigurata in 28 quadri la Vita di San Francesco, secondo la biografia più accreditata alla fine del Duecento: la Legenda Maior di san Bonaventura, che fu per diciassette anni ministro generale dell'ordine francescano. Da quando il Vasari attribuì a Giotto la paternità di questi affreschi, stesi fra il 1296 e il 1300, a più riprese si sono levate, nel corso dei secoli, critiche da parte di chi evidenzia divergenze stilistiche fra il ciclo di Assisi e altre opere più mature del maestro, come quelle della Cappella degli Scrovegni di Padova. Discussioni riemerse recentemente, dopo il tremendo terremoto del 1997 e il conseguente complicatissimo restauro delle volte della basilica. Durante la ripulitura del ciclo di San Francesco, il restauratore Bruno Zanardi riscontrò chiare analogie con gli affreschi di un pittore romano, Pietro Cavallini, nella chiesa di Santa Cecilia in Trastevere. La presenza di Cavallini fra i pittori attivi in quel periodo ad Assisi pare accertata, come pure la variazioni stilistiche riscontrabili fra i vari quadri del ciclo. Variazioni che i sostenitori di Giotto attribuiscono però agli inevitabili aiuti degli allievi e alla maturazione dello stesso Giotto. La polemica è tuttora aperta, sebbene i fautori di Cavallini siano in minoranza, e lascia spazio a una sola certezza: gli affreschi della Vita di San Francesco sono il frutto di un'unica grande mente, la stessa che tracciò i disegni preparatori. A questa mente si deve la sintesi di uno stile pittorico nuovo e moderno, che apre la strada alla visione prospettica dello spazio, e specialmente alla rappresentazione della natura e dei sentimenti umani.