Nasce nel Basso Cilento, in un'area densa di inimitabili produzioni casearie, la tradizione semplice e antica della mozzarella nella mortella, oggi protetta da un presidio di Slow Food. Forse meno famosa della venerata mozzarella di bufala e del caciocavallo podolico, questa caratteristica pasta filata si produce infatti nei paesi delle comunità montane del Bussento, Calore, Mingardo, Cervati e Gelbison. Un territorio tormentato, disseminato di creste rocciose e gole accidentate, che ricade sotto la tutela del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Il termine “mortella”, è bene chiarirlo, non è che l'italianizzazione del dialettale murtedda, con cui si identifica la pianta del mirto, i cui rametti appaiono artisticamente disposti attorno alle mozzarelle, apparentemente per scopi puramente ornamentali. Eppure questa usanza risponde a esigenze tutt'altro che decorative: in un'area dove il primo prodotto caseario è il caciocavallo, che nasce dalle vacche podoliche al pascolo sugli altipiani più elevati, non tutto il latte viene impiegato per ottenere il prezioso formaggio stagionato. Con una parte del latte munto, infatti, si produce un fresco formaggio di giornata da consumare al più presto: la mozzarella stracciata. Così, mentre il caciocavallo si conserva negli alpeggi, per il necessario periodo di stagionatura, la mozzarella deve essere trasportata nei paesi delle valli prima di finire nei mercati e sulle tavole dei consumatori. Facile a dirsi ai nostri giorni, ma non altrettanto per i “pastori casari” di un tempo che, in mancanza di frigoriferi e mezzi di trasporto veloci, scoprirono le virtù delle foglie di mirto quale protezione naturale per le mozzarelle. Avvolto nella mortella, il formaggio non solo conserva intatta la sua freschezza, ma dai rametti e dalle foglie trae l'aroma e il profumo di questo arbusto tipicamente mediterraneo, acquistando un gusto inconfondibile. Il primo impatto con il palato rivela un'acidità leggermente superiore rispetto alle comuni mozzarelle. I sentori di erbe aromatiche, persino di cedro e di limone, tuttavia, non derivano solo dal mirto. Parte del merito spetta sicuramente alla speciale dieta delle mucche: nei pascoli del Cilento infatti, fra faggete, castagneti e ardite incursioni di macchia mediterranea, esse hanno a disposizione una straordinaria varietà di essenze erbacee il cui aroma passa dal latte al formaggio. Qualche parola sul processo di caseificazione, che non manca di tratti distintivi. La tecnica è quella classica: il latte delle vacche podoliche viene portato a 37 gradi, quindi si aggiunge il caglio. Il tempo di coagulazione è di 70 minuti, poi si procede alla rottura della cagliata. Ma la maturazione nei tini (qui sta la differenza) avviene in assenza di siero, o quasi, per 12-24 ore. Ne deriva un formaggio dalla pasta bianca, ruvida al tatto, più asciutto e compatto della comune mozzarella, che per effetto della lavorazione a mano assume una forma allungata, piatta e irregolare. Dieci alla volta, i pezzi di mozzarella vengono avvolti in fasci di mirto, che nel Cilento cresce abbondantissimo fino alle coste di Ascea e Palinuro, e legati con germogli di ginestre e altre erbe. Una tradizione millenaria che il presidio Slow Food ha il compito di salvare, sostenendo quei pochi produttori artigianali che lavorano il latte locale rigorosamente crudo. L'obiettivo è garantire l'intera filiera produttiva, dall’allevamento delle vacche alla lavorazione del formaggio. Il prodotto finito è già pronto per essere gustato e non potrebbe, d'altro canto, essere impiegato in cucina alla stregua di una normale mozzarella. In linea con i migliori formaggi freschi da tavola, la mozzarella nella mortella va assaporata come antipasto, al massimo accompagnata con olive, pomodori o prosciutto, e condita con un filo d'olio extra-vergine d'oliva e una spolverata d'origano. La scelta del vino è importante, e ricade su un bianco locale, molto ricco e intenso al gusto: il Cilento Doc, servito fresco, accompagna meravigliosamente tutti i formaggi freschi di questa regione. Interessante anche l'abbinamento con il Fiano d'Avellino Docg, per chi non sa rinunciare ai quarti di nobiltà.