La costruzione dello stupendo Duomo di Spoleto, che oggi domina su una vasta piazza distesa nella parte alta della città, è legata a due grandi figure storiche del Basso Medioevo. La prima è quella di Federico Barbarossa che, nel corso di una delle sue scorribande in Italia, distrusse nel 1155 un tempio precedentemente eretto nello stesso luogo. Su quelle rovine, vent'anni più tardi, ebbero inizio i lavori di costruzione della basilica che sarebbe stata consacrata a Santa Maria Assunta da uno dei papi più famosi: Innocenzo III. Il vecchio luogo di culto raso al suolo dal Barbarossa sorgeva, a sua volta, sulle rovine di una chiesa risalente all'VIII secolo, di cui si conserva tuttora la cripta, situata sotto la Cappella delle Reliquie, all'interno del Duomo. Lo splendore della facciata, decorata da rosoni e mosaici e “sorvegliata” dalla mole del campanile adiacente, dipende in parte dai lavori di ampliamento effettuati dopo il 1200. Ma al centro del prospetto, tipicamente romanico, l'attenzione è subito catturata dal grande e sofisticato rosone, considerato uno dei più belli di tutta l'Umbria. Una precisa simbologia ne determina, come sempre, il disegno: il rosone è inscritto in un quadrato che racchiude, nei quattro angoli, i simboli degli Evangelisti. Il quadrato poggia a sua volta su una galleria cieca sorretta da cinque colonnine e due telamoni. Uno degli elementi più interessanti è la perfetta sintonia fra lo stile architettonico originario, che caratterizza il rosone e la galleria sottostante, e quello dell'elegantissimo portico a cinque arcate aggiunto attorno al 1500. Il rispetto per le forme e le proporzioni preesistenti si deve alla saggezza dei progettisti: Antonio Barocci da Milano e Pippo di Antonio da Firenze. Sopra il portico, ai lati del rosone centrale, si aprono i quattro “rosoncini” completati nel Duecento. Ancora più in alto, nel terzo ordine, tre rosoni e due nicchie ogivali circondano il bel mosaico centrale che raffigura Cristo benedicente in trono, fra la Madonna e San Giovanni. Il mosaico porta la firma di un artista chiamato Solsternus, il quale preferì definirsi doctor, anziché magister. Stupiscono le proporzioni dell'imponente campanile, eretto nel XII secolo e usato, come spesso accadeva a quel tempo, anche a scopo militare difensivo. Risale invece al Cinquecento la bella cella campanaria attraverso cui il campanile sembra protendersi verso il cielo. Entrando in chiesa dal portale centrale si nota l'ingresso murato dell'antica cattedrale del IX secolo. Lo stile dominante, all'interno della basilica, è certamente il barocco: una scelta dovuta al papa Urbano VIII, di cui si ammira un busto bronzeo scolpito da Lorenzo Bernini. Nel corso del Seicento furono anche allargate le navate laterali e il transetto. Ma a testimoniare le origini romaniche restano i mosaici che decorano il pavimento della navata centrale, e la relativa abside. Altari e porte del tempio furono invece ridisegnati nell'Ottocento dal celeberrimo architetto Giuseppe Valadier, che lasciò la sua impronta a Roma, in piazza del Popolo e al Pincio. La prima cappella sulla destra, che funge da battistero, offre subito l'opportunità di ammirare splendidi affreschi del Pinturicchio. Proseguendo sulla destra si giunge al transetto, dove è posto il monumento funebre dedicato al grande Filippo Lippi, morto proprio a Spoleto nel 1469, mentre eseguiva gli affreschi nell'abside della basilica. Commissionato da Lorenzo de' Medici e progettato da Filippino Lippi (figlio dell'artista) il monumento fu però eseguito solo nel 1490, per mano di un ignoto scultore di Firenze. Oltrepassata la sagrestia, si incontra la Cappella della SS. Icona, dove si conserva una tavoletta di fattura bizantina raffigurante la Madonna. Si tratta di un dono del Barbarossa, destinato a sancire la pace con la città di Spoleto. Dopo la cappella si apre la splendida abside romanica che costituisce il più importante tesoro racchiuso fra queste mura: qui è possibile contemplare il meraviglioso ciclo di affreschi realizzati da Fra' Filippo Lippi e completati, dopo la morte del pittore, da Fra' Diamante e Pier Matteo d'Amelia. La figura della Vergine Maria domina le scene raffigurate: il Presepio, l'Annunciazione, il Transito e l'Incoronazione. Lo spazio absidale è chiuso idealmente dall'altare maggiore del Valadier, con le sue quattro colonne di granito orientale. Nella navata sinistra, dopo la Cappella delle Reliquie (aggiunta nel 1540 per ospitare paramenti sacri e preziosi) si apre una nicchia in cui è collocata un'altra opera di pregio straordinario: il “Crocifisso da altare”, una pergamena dipinta, applicata su tavola, realizzata nel 1187 da Alberto Sotio. Oltre ad essere una delle più antiche opere datate attualmente conservate, questa croce è considerata uno dei massimi esempi della pittura umbra fra XII e XIII secolo. Essa proviene dalla chiesa dei santi Giovanni e Paolo, un tempio romanico decorato con affreschi del Sotio e della sua scuola, fra cui una delle prima rappresentazioni del martirio dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket.