Più di trecento ambienti, un complesso armonioso di chiostri, giardini, logge e scaloni monumentali in stile manierista e barocco. Circa 30.000mq di superficie coperta e 52.000mq di estensione complessiva. Si tratta della Certosa di San Lorenzo, uno dei monasteri più grandi e magnificenti d'Europa, adagiato ai piedi della collina che ospita il paese di Padula, in provincia di Salerno. Nel 1306, quando fu posta la prima pietra di questa stupefacente costruzione, elegante e scenografica quanto carica di suggestioni mistiche, il Vallo di Diano ricadeva sotto la signoria del conte normanno Tommaso di Sanseverino. Fu lui a donare l'intero terreno su cui sarebbe sorta l'abbazia ai monaci Certosini, non tanto per devozione ma per suggellare la propria fedeltà agli angioini del Regno di Napoli, che vedevano di buon occhio l'ordine fondato più di due secoli prima da san Brunone a Chartreuse. Oltre a costruire il monastero, i Certosini bonificarono quest'area storicamente paludosa perché esposta alle piene del fiume Tanagro. Il complesso architettonico rispecchia le norme funzionali e la gestione degli spazi tipiche di tutte le certose, imperniate sulla distinzione tra una parte alta, dove si svolgeva la vita ascetica e contemplativa dei monaci, e una parte bassa, adatta all'esercizio delle attività lavorative e mondane. Qui alloggiavano i conversi, amministratori dei beni e delle attività produttive gestite dall'ordine. Le ristrutturazioni e gli ampliamenti realizzati a più riprese, fra XIV e XVIII secolo, non intaccarono mai l'omogeneità dell'insieme limitandosi ad arricchirlo sotto il profilo decorativo e artistico. Ma la parentesi napoleonica all'inizio dell'Ottocento cancellò con un colpo di spugna questo centro di potere, non solo spirituale. La Certosa di San Lorenzo fu spogliata di tutti i suoi tesori e perfino dei testi raccolti nella ricchissima biblioteca. L'insieme architettonico, che non poteva essere trafugato, fu dichiarato monumento nazionale già nel 1866 ma solo in tempi recenti, dopo una lunga opera di restauro ha recuperato il suo aspetto magnificente e quasi regale. Dal 1998 è compresa nel Patrimonio dell'Umanità tutelato dall'Unesco ed è diventata un centro culturale che ospita, fra l'altro, il Museo Archeologico della Lucania Occidentale e laboratori di restauro altamente qualificati. La visita alla certosa rappresenta un'occasione per proiettarsi nella vita di studio e meditazione dei monaci, vita certamente pacifica e agiata se raffrontata alle miserie e alle violenze imperanti soprattutto nelle campagne. Appena varcato il portale nelle mura difensive si apre la grande corte esterna: lungo il perimetro rettangolare del piazzale erano disposti depositi, granai, stalle, forni, cantine e perfino un frantoio. A sinistra la spezieria, fonte di medicamenti anche per la popolazione civile, con accanto gli alloggi dei monaci conversi. Di fronte la facciata, elegante e maestosa, con il portale che garantiva (solo a pochi eletti) l'accesso all'abbazia vera e propria. Statue di santi e pinnacoli in stile barocco riempiono gli spazi scanditi dall'ordine dorico delle colonne binate. Superato il secondo portone ci si ritrova nel chiostro della foresteria. Molto bello il loggiato del piano superiore, con gli ambienti riservati agli ospiti, decorato secondo il gusto tardo-manierista e arricchito dalle scene di un noto paesaggista napoletano del Seicento, Domenico Gargiulo. Nel portico inferiore si apre l'ingresso alla chiesa: l'antico portone trecentesco in cedro del Libano è incorniciato da un portale rinascimentale. All'interno è evidente la divisione in due aree, una per i padri di clausura e una per i conversi. Stucchi dorati settecenteschi si sono sovrapposti alla struttura originaria nella navata e nel presbiterio, mentre nella volta spiccano le scene del Vecchio Testamento dipinte da Michele Ragolìa. Decorazioni in madreperla e lapislazzuli ingentiliscono l'altare maggiore. Le uniche tele presenti sono posteriori ai saccheggi napoleonici. Ai lati della chiesa sono allineate la sala capitolare e la cappella del tesoro. Sono questi gli ambienti che hanno sofferto maggiormente delle spoliazioni di dipinti e paramenti sacri, mantenendo solo le ricche decorazioni a stucco. La vastissima cucina è uno dei luoghi più interessanti: la presenza di affreschi sulla volta suggerisce la funzione primitiva di refettorio. Qui si preparavano pranzi degni della tavola del re, perlomeno in occasione d
elle visite di personaggi illustri. Si narra ad esempio che per rifocillare l'imperatore Carlo V venne servita una frittata di mille uova. Passando per il Chiostro dei Procuratori si raggiungono gli edifici della clausura. Si nota subito l'appartamento del Priore, dotato di dieci ambienti, vari locali di servizio e un raffinato giardino con loggia affrescata. Un ingresso privato si apriva sulla biblioteca con il prezioso pavimento ricoperto da mattonelle in ceramica di Vietri, un tempo ricca di decine di migliaia di volumi fra codici miniati, manoscritti e testi a stampa. Oggi ne restano circa duemila. Accanto alla biblioteca si ammira uno degli elementi architettonici di maggior pregio: lo scalone ellittico a doppia rampa, nello stile del Vanvitelli, che divideva il Chiostro Grande in due livelli. Il solo chiostro copre una superficie di quasi 15.000mq. Al livello inferiore si sviluppa il portico con le celle dei padri, mentre lo scalone conduce alla “passeggiata coperta”: una galleria finestrata che fungeva da punto d'incontro e di comunicazione per i monaci. Solo in questo spazio, infatti erano sospesi i rigidi vincoli della clausura e del silenzio.