Sulla sommità del Monte Pirchiriano, in posizione dominante sulla bassa Val di Susa, si erge la Sacra di San Michele, monumento simbolo del Piemonte, nonché uno degli edifici di culto più suggestivi d'Italia. In molti assicurano che la costruzione, protesa verso il cielo come un prolungamento dello spuntone di roccia al quale è aggrappata, abbia ispirato allo scrittore Umberto Eco l'ambientazione del suo celeberrimo best-seller, “Il nome della rosa”. In effetti sui 962 metri del Monte Pirchiriano, noto anche come “monte dei porci”, si installò una delle più importanti comunità benedettine dell'Italia settentrionale, facendo seguito a una tradizione secondo cui questa cima è considerata sacra fin dalla notte dei tempi: luogo di culto per i Celti (primi abitatori della valle), così come per i Romani, che qui veneravano le divinità alpine. A un primo nucleo di monaci benedettini si deve, nel X secolo stando alle cronache, la chiesetta che il popolo riteneva costruita direttamente dagli angeli, evidentemente per la posizione estremamente ardita. L'appellativo di Sacra, coniato in quei tempi, sarebbe stato trasmesso agli edifici successivi. La storia del monastero comincia poco più tardi, nel 983, quando il conte d'Alvernia Ugo di Montboissier diede ordine che su questo monte, lambito dalla leggendaria Via Francigena, si costruisse un'abbazia per volere del Papa e, soprattutto, in espiazione dei propri peccati. Per quasi quattro secoli, l'abbazia benedettina prosperò mentre alla sua guida si succedevano 27 abati monaci. Si accumulavano i possedimenti: dal dominio feudale sulle valli circostanti alle terre con diritti spirituali, amministrativi, civili e penali in Lombardia, in Puglia, in Savoia, e persino in Francia e in Spagna. Nel 1381, però, l'istituzione di una commenda portò gli abati lontano dal monastero che iniziò la sua parabola discendente, fino alla soppressione del 1622. Ma il colpo più duro fu inferto dai saccheggi delle truppe francesi che a più riprese, fra il 1629 e il 1706, ridussero il monastero in rovina, mentre solo la chiesa si salvava dalla distruzione. La Sacra rimase così in stato d'abbandono fino al 1836, quando Carlo Alberto la affidò alle cure dei Padri Rosminiani. L'Ordine Rosminiano ricevette in custodia anche le salme di 24 reali di Savoia, che tuttora riposano nella basilica, in sarcofagi di pietra. Il complesso architettonico che oggi si può visitare (raggiungibile in auto passando per i Laghi di Avigliana, o per mezzo di sentieri battuti dagli appassionati di trekking e mountain bike) appare in buono stato di conservazione grazie a una serie di restauri, iniziati nell'Ottocento con il celebre architetto Alfredo D'Andrade e proseguiti fino ai giorni nostri. Restauri soprattutto conservativi perché nulla potrebbe essere rimosso del basamento ciclopico di colonne e contrafforti su cui poggia stabilmente la chiesa da oltre mille anni. Lo sviluppo verticale dell'edificio appare evidente proprio dal lato dell'ingresso al tempio che (particolare unico) è posto sotto l'imponente abside che raggiunge i 41 metri, fiancheggiata da una galleria di archetti (i “viretti”) nel più puro stile romanico. Altri elementi, come le finestre e i pilastri polistili che si trovano all'interno, evidenziano la durata dei lavori di costruzione e il passaggio graduale al gusto gotico francese. Dal piano d'ingresso si sale per il ripido Scalone dei Morti, scavato nella nuda roccia, dove ci si imbatte in un pilastro largo 18 metri che sorregge il pavimento della chiesa sovrastante. La ragione del nome lugubre era chiara fino a pochi anni fa, quando le nicchie nella parete ospitavano ancora scheletri di monaci. Fra queste si ammirano ancora cinque tombe dipinte e ornate da marmi. Si passa sotto la Porta dello Zodiaco su cui il maestro Nicolao scolpì, nel XII secolo, i simboli zodiacali e di altre costellazioni, raggiungendo l'ultima rampa da cui, attraverso gli archi rampanti realizzati dal D'Andrade, la vista si apre sulla pianura torinese. Ancora più antico è lo splendido portale romanico in pietra grigia e verde, attraverso cui si entra in chiesa. Le tre navate poggiano in parte sulla cima rocciosa, che affiora sotto il primo pilastro di sinistra. Proprio in corrispondenza della vetta si incontra l'elemento architettonico più antico e più sacro: il Santuario di San Michele, diviso in tre cappelle, la più ampia delle quali affonda nella roccia viva. Attorno al finestrone dell'abside si notano le figure dei profeti maggiori e un'incantevole scena dell'Annunciazione. L'opera pittorica più preziosa è forse il Trittico di Defendente Ferrari che orna il Coro Vecchio, con al centro una tenera raffigurazione della Madonna col Bambino. Nello stesso ambiente è rappresentata la leggenda della fondazione del Santuario: angeli e colombe trasportano le travi per la costruzione della chiesa, mentre il conte di Avigliana si dirige verso il monte per fondare il monastero. L'affresco più vasto, invece, è l'
Assunzione dipinta nel 1505, che copre la parete di sinistra del tempio. Le rovine del grandioso monastero benedettino sono visibili dal terrazzo adiacente la chiesa. Dell'edificio a cinque piani restano pilastri, arcate, mura possenti e la Torre di Bell'Alda che si affaccia sullo strapiombo. Secondo una leggenda nata nel Seicento, da qui si gettò una giovane per sfuggire ai soldati che saccheggiavano l'abbazia, restando miracolosamente illesa. Fra le rovine più antiche spicca, poi, il Sepolcro dei Monaci: un tempietto ottagonale, ritenuto in passato una cappella cimiteriale che, più probabilmente, riproduce il Sepolcro di Gerusalemme a beneficio dei pellegrini in visita alla Sacra. Ma altri ambienti meritano di essere visitati: fra questi le officine, dalla bassa volta a botte, dove si forgiavano e si riparavano gli attrezzi del lavoro quotidiano dei monaci, la ricca biblioteca rifondata dai Padri Rosminiani, che annovera 8.000 volumi a disposizione degli studiosi, e un piccolo "Museo del quotidiano" dove sono raccolti utensili e macchinari d'epoca.