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Martedì, 06/06/2023
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La “Leggenda della Vera Croce”

cappella bacci

Un accuratissimo lavoro di restauro ha recentemente restituito al pubblico una delle opere pittoriche più straordinarie del Rinascimento. È la Leggenda della Vera Croce, il sensazionale ciclo di affreschi che Piero della Francesca realizzò, attorno alla metà del Quattrocento, nella chiesa di San Francesco, ad Arezzo. Questo tempio, da cui prende il nome la piazza su cui è affacciato, risale al Duecento ma fu ricostruito nel Trecento in stile gotico francescano. La sua fisionomia è caratterizzata dalla facciata in pietra e mattoni, rimasta incompiuta. La navata unica che si apre all'interno ispira al tempo stesso grandiosità e semplicità. Sulla destra sono allineate edicole con ornamenti tardo medievali; a sinistra si aprono alcune austere cappelle ogivali. L'attenzione è facilmente attratta dalla bella vetrata di Guglielmo de Marcillat, che riproduce un Pietro vecchio e quasi cieco fra due cardinali. Notevoli sono pure la Cappella Guasconi, interamente affrescata da Spinello Aretino verso la fine del Trecento, e la Cappella Tarlati che ospita l'Annunciazione e i Santi Girolamo e Francesco di Neri di Bicci, un'altra Annunciazione attribuita a Luca Signorelli e la Crocifissione di Spinello sulla parete destra. Il grande crocifisso con san Francesco che svetta sull'altare maggiore, dipinto da un contemporaneo di Cimabue, era già presente in chiesa quando Piero della Francesca mise mano al suo capolavoro. In realtà, il compito di affrescare la Cappella Maggiore (nota anche come Cappella Bacci) era stato assegnato a un celebre pittore fiorentino, Bicci di Lorenzo. Nel 1452 la morte lo colse quando aveva appena abbozzato la decorazione delle pareti. Nello stesso anno Piero della Francesca visitava Arezzo ed è quindi probabile che il maestro di Borgo San Sepolcro iniziò la sua opera dopo la scomparsa di Bicci. In pochi anni, le pareti della cappella gotica si ricoprirono di immagini dall'irresistibile potere evocativo, realizzate secondo una tecnica rivoluzionaria che applicava con rigore assoluto i principi prospettici elaborati qualche decennio prima. L'intero ciclo fu terminato certamente prima del 1465, ed è attualmente considerato un esempio impareggiabile del genio di Piero, nonché una delle più importanti opere di pittura murale del periodo.

I dipinti della cappella narrano la storia dell'albero e del legno con cui fu costruita la Croce di Cristo. Il racconto è tratto da un testo duecentesco di Jacopo da Varagine: la Leggenda Aurea. Vi si narra di come Adamo, sul letto di morte, inviasse il figlio Set presso l'Arcangelo Michele, e di come questi gli consegnasse alcuni semi dell'albero del peccato originale perché li mettesse nella bocca del padre dopo la morte. Sepolto Adamo, dalla sua tomba ebbe origine un albero che sarebbe stato abbattuto per volere del re Salomone e impiegato come ponte. Un giorno la regina di Saba, nell'atto di attraversare il ponte, è colpita da una visione: comprende che che il Salvatore sarà crocifisso con quel legno. Nell'episodio rappresentato da Piero si può notare il volto dello stesso artista, che si ritrae come uno dei cortigiani al seguito della regina. Venuto a conoscenza della premonizione, Salomone ordina che il tronco sia seppellito in un luogo nascosto. Il legno, però, sarà fatalmente rinvenuto per diventare lo strumento della Passione di Cristo. A questo punto, la narrazione presenta un salto temporale: il quinto episodio affrescato rappresenta, infatti, il famoso sogno di Costantino. L'imperatore, addormentato nella sua tenda, prima di scontrarsi con le truppe di Massenzio, ha una visione che gli suggerisce di combattere in nome della Croce. Vinta la battaglia, inizia la ricerca del sacro legno: la madre di Costantino, Elena, si reca a Gerusalemme per scoprire il luogo in cui si trova la reliquia. L'unico depositario del segreto è un ebreo di nome Giuda. Il VII episodio del ciclo lo raffigura mentre viene torturato in un pozzo, fino a rivelare il nome del tempio che custodisce le tre croci del Calvario. Giuda appare mal vestito, proprio in quanto ebreo e dunque considerato malvagio. Nel quadro successivo, però, lo stesso Giuda indossa abiti eleganti perché convertito, e ha le fattezze di Piero della Francesca. In questo episodio (forse il più celebre) è descritto il disseppellimento delle croci e la prova della Vera Croce, che provoca una resurrezione miracolosa. La fama del dipinto non deriva solo dall'autoritratto dell'artista, ma dalla raffigurazione di Gerusalemme, in alto sulla collina, che in realtà è una fedele riproduzione di Arezzo con la stessa chiesa di San Francesco in evidenza. Segue un altro salto in avanti nel tempo: nell'anno 615 il re persiano Cosroe ruba la Croce per arricchire la sua collezione di reliquie. Eraclio, imperatore d'Oriente, gli dichiara guerra e lo sconfigge, recuperando il legno. A Giovanni Bacci (il committente degli affreschi nella Cappella) è riservato l'onore di prestare le sue sembianze al giustiziere di Cosroe. Prima di riuscire a entrare in Gerusalemme con la Croce, Eraclio dovrà rinunciare al suo trionfo, e portare la Croce scalzo e senza cappello, in segno di umiltà. Qui Piero lancia il suo ultimo messaggio simbolico: la Croce viene raffigurata fra due alberi che indicano il Vecchio e il Nuovo Testamento. Il sacrificio di Cristo li unisce.

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