Da circa 150 anni il Carnevale di Ivrea, unico nel suo genere, racconta una storia precisa che vede protagonisti personaggi ideali: non maschere ma interpreti di antichi avvenimenti e simbolo di valori libertari. La prima leggenda cui si ispira questa storia risale al Medioevo, quando Raineri di Biandrate esercitava il suo potere dispotico sulla città, per volontà di Federico Barbarossa. Nel 1194 il popolo, esasperato dalle violenze e dai soprusi del tiranno, si ribellò e ne distrusse il castello. Stessa sorte toccò, nel 1266, a Guglielmo di Monferrato, che in quel tempo spadroneggiava su Ivrea. La leggenda nata dalla memoria e dall'immaginario popolare riassume le due personalità storiche in un'unica figura di tiranno, odiato per la sua determinazione a esigere lo “ius primae noctis”: il diritto di trascorrere, con tutte le spose d'estrazione popolare, la prima notte di nozze. Narra la leggenda che Violetta, figlia di un mugnaio, mozzò la testa al despota per non sottostare alle sue pretese, suscitando l'inarrestabile rivolta che portò alla distruzione del “Castellazzo” e che oggi è rappresentata, nei giorni del Carnevale, dalla celeberrima Battaglia delle Arance. Questa guerra simulata oppone infatti gli “aranceri a piedi”, simbolo del popolo insorto, a quelli sui carri, le guardie del tiranno. Ma la manifestazione attuale trae spunto anche da vicende più recenti. Fino agli albori del XIX secolo, infatti, i rioni della città usavano festeggiare il Carnevale separatamente, dando sfogo alla tradizionale rivalità che spesso sfociava in scontri violenti. Fu il governo napoleonico, nel 1808, a imporre la riunificazione di questa festa sotto il controllo di un gruppo di cittadini chiamati a indossare la divisa dell'esercito francese. Da questa usanza nasce un altro dei personaggi protagonisti del Carnevale, il Generale, attorniato da Aiutanti di Campo e Ufficiali di Stato Maggiore. Nel periodo risorgimentale, a questa figura cominciò a contrapporsi quella della Mugnaia (l'eroina dell'antica leggenda), simbolo dell'affrancamento da ogni forma di tirannia. Altre figure tradizionali della festa eporediese sono: il “Sostituto Gran Cancelliere”, una sorta di segretario con il compito di verbalizzare su un grosso libro lo svolgimento di ogni cerimonia; i “Pifferi e Tamburi”, che scandiscono i tempi del Carnevale evocando antiche marcette sabaude; gli “Abbà”, dieci bambini in costume rinascimentale che rappresentano le parrocchie (i rioni) della città e hanno il compito di appiccare il fuoco allo “scarlo” issato nella piazza del proprio quartiere, il giorno di Martedì Grasso; il “Podestà”, capo del governo comunale, assieme ai suoi “Credendari” (i consiglieri); gli “Alfieri” che aprono la marcia del Carnevale ed espongono le storiche bandiere delle parrocchie. Alla metà dell'Ottocento risale anche l'obbligo di indossare il “berretto frigio”, ereditato dalla Rivoluzione Francese, che pone al riparo dal lancio delle arance. Ma prima che i succulenti agrumi della Costa Azzurra venissero impiegati nella rappresentazione di questa battaglia sublimata, alla maniera del Carnevale di Nizza, i “proiettili” adoperati erano i fagioli. Anche in questo caso, la tradizione nasce da una leggenda medievale: pare, infatti, che un imprecisato feudatario si facesse beffe dei suoi sudditi donando, una volta l'anno, una pignatta di fagioli alle famiglie povere. Queste, per disprezzo, gettavano i fagioli per le strade. Come tutti gli usi dissacranti e sovvertitori, il lancio dei fagioli trovò modo di eternarsi nel Carnevale: i carri e le carrozze del corteo carnascialesco divennero bersaglio di legumi, ma anche confetti e fiori. Sembra che solo nei primi decenni del XX secolo cominciarono a piovere le prime arance, per mano di alcune ragazze, desiderose di attrarre l'attenzione degli aitanti giovincelli che passavano sotto le loro finestre. Dai carri non si tardò a rispondere all'improvvisato tiro al bersaglio, finché lo scontro si estese, tramutandosi in una vera e propria battaglia, dettata da regole precise. Nacquero squadre di lanciatori a piedi ed equipaggi a bordo di carri trainati da cavalli (le pariglie e le quadriglie). Oggi chiunque può iscriversi in una delle squadre e prendere parte allo scontro simbolico, che ormai annovera molti “eporediesi d'adozione”, nel quale hanno la peggio ben 3.600 quintali di agrumi l'anno.
Quest'anno, dopo la consueta apertura nel giorno dell'Epifania, il Carnevale di Ivrea entra nel vivo domenica 4 febbraio, con la cerimonia della “Prise du drapeau” (la consegna della bandiera), e la parata del Corpo di Stato Maggiore e della banda dei Pifferi e Tamburi. Nel pomeriggio, il Generale, lo Stato Maggiore e i Pifferi si recano presso l’abitazione degli Abbà per la cerimonia dell'Alzata: i bambini vengono issati a braccia dal balcone e presentati alla folla acclamante. La domenica seguente (11 febbraio) si tiene la prima sfilata dei carri e delle squadre degli aranceri a piedi, con la partecipazione di gruppi folcloristici, che culmina con la cerimonia della Riappacificazione fra gli abitanti dei rioni del Castellazzo e del Borghetto. Il 15 febbraio avviene il simbolico passaggio dei poteri dal Sindaco al Generale: cerimonie e sfilate cominciano a susseguirsi a ritmo serrato. La sera del Sabato Grasso, dalla loggia esterna del Palazzo Civico, viene presentata la Vezzosa Mugnaia. Parte la fiaccolata goliardica per le vie cittadine, con la Mugnaia e gli Aranceri, seguita dallo spettacolo pirotecnico sulla Dora, con l'apertura delle Feste degli Aranceri nei vari rioni. Domenica 18, dopo la presentazione e la marcia dei gruppi storici, ha inizio la Battaglia delle Arance, destinata a ripetersi, a partire dal primo pomeriggio, negli ultimi due giorni di Carnevale. La sera del Lunedì Grasso, bande e gruppi folkloristici danno vita ad un grandioso spettacolo per le vie del centro storico. La sera del Martedì Grasso, invece, terminata la premiazione delle squadre di aranceri e dei carri da getto, è il momento dell'Abbruciamento degli Scarli, nei rioni cittadini e in Piazza di Città. Con la Marcia Funebre si chiude il Carnevale, in un repentino passaggio di consegne fra licenziosità e penitenza, sottolineato dalla significativa appendice del giorno delle Ceneri: la distribuzione di polenta e merluzzo alla presenza del Generale, della Mugnaia e dello Stato Maggiore in borghese.