Qualsiasi itinerario attraverso i Campi Flegrei deve necessariamente partire da Pozzuoli, città nota tanto per i fenomeni bradisismici e per la sua Solfatara, quanto per la ricchezza del suo patrimonio storico e artistico. Grazie alla posizione geografica strategica, infatti, Pozzuoli ospitò uno dei più importanti porti militari e commerciali dell'Impero Romano. Ancora oggi, il suo porto è un punto di riferimento per chi voglia visitare le vicine isole di Procida e Ischia. La storia romana si respira anche visitando la Solfatara, un cratere davvero singolare, descritto per la prima volta da Petronio ma già nota, nel I secolo a.C., al geografo Strabone che la chiamò Hephaiston (piazza di Efesto). La peculiarità di questo vulcano, nato per effetto di un evento isolato circa 4.000 anni fa, è data dalle sue manifestazioni fumaroliche, dalla ciclica deformazione del suolo e dalle scosse: sono questi i tre fenomeni attraverso cui si manifesta l'attività della Solfatara, che oggi non è più alimentata da magma. L'ultima eruzione risale infatti all'anno 1198. Nella prima metà del XIX secolo il cratere, di proprietà reale, fu sfruttato come cava per estrarre alcuni composti chimici usati a fini militari. Molti di questi, a base di zolfo e altri minerali, si possono ancora vedere presso le fumarole, in forma di patine, croste e cristalli, generati per sublimazione dall’attività idrotermale del vulcano. La superficie del cratere è ricoperta dal “bianchetto”, un materiale argilloso-siliceo dalla cui depurazione si estraeva, in età romana, l’allume. La macchia mediterranea contrasta con il bianco del suolo e il rosso dei versanti. Alcune zone sono letteralmente ricoperte di erica, cisto, corbezzolo e mirto. Presso la “Bocca Grande”, recintata in seguito all’apertura di bocche minori e di fratture circostanti, l’attività vulcanica fumarolica è particolarmente intensa e spettacolare. Poco più a nord, inoltre, si incontra un edificio in muratura, dotato di due ambienti utilizzati come sudatori naturali grazie alla loro capacità di attrarre i vapori caldi. Dalla Solfatara, proseguendo lungo la via provinciale “San Gennaro”, si entra nell'abitato di Pozzuoli. Sulla destra si erge l'imponente mole dell'Anfiteatro Maggiore (o Flavio). Pochi metri prima dell'ingresso all'anfiteatro si incontrano, sulla sinistra, i resti di una fontana-ninfeo del II secolo d.C. Ben conservati sono parte dell'emiciclo, un tratto del muro di contenimento della vasca e la canaletta in marmo per lo scolo delle acque. Accanto ad essa, si riconoscono ancora alcuni basoli dell'antica strada che disimpegnava gli ingressi dell'anfiteatro. Terzo per capienza, dopo il Colosseo e l'anfiteatro di Capua, l'Anfiteatro Maggiore fu teatro di battaglie navali (naumachie), giochi cruenti e persecuzioni anticristiane, come il martirio del vescovo Gennaro e del puteolano Procolo. Nel Medioevo, purtroppo, andò incontro a una spoliazione simile a quella del Colosseo e venne usato come cava di pietra. Il processo di degrado dell'anfiteatro si arrestò solo nel 1837, quando Ferdinando II di Borbone ne ordinò lo sterro: un'opera di recupero durata, fra alterne vicende, oltre un secolo. Nonostante i danni subiti, la complessità e la straordinarietà di quest'opera, che si sviluppava su tre ordini, con una cavea capace di contenere 20.000 spettatori, è tuttora evidente. Altra importante testimonianza della civiltà romana è data dalle rovine del Macellum, detto Serapeo per la presenza di una statua della dea Serapide. Si trattava di un grande mercato pubblico, risalente anch'esso all'età flavia, che consisteva in un vasto quadrilatero a portico, fiancheggiato da numerose botteghe. Su un basamento centrale, colonne corinzie sostenevano la cupola. Al centro sorgeva una fontana. Il lato di fondo, absidato, era ornato da nicchie con statue. Da Pozzuoli è quasi naturale spostarsi nella vicina cittadina di Bacoli, dove si ammira la celebre Piscina Mirabilis, il più grandioso serbatoio o cisterna romana di acqua potabile mai conosciuto. Questa enorme piscina, dalla capacità di 12.000 metri cubi, costituiva il punto terminale del grandioso acquedotto augusteo che, dalle sorgenti di Serino, situate ad una quota di 330 metri, e con un tragitto di 100 chilometri, portava l’acqua a Napoli e nei Campi Flegrei. Il serbatoio aveva il compito specifico di approvvigionare di acqua la numerosissima Classis Misenensis, la più importante flotta dell'Impero Romano, di stanza nell'antico porto di Miseno. Vista dall'interno, la struttura si rivela maestosa e suggestiva: una sorta di “cattedrale sotterranea”, alta 15 metri, lunga 72 e larga 25, ricoperta da una volta a botte sostenuta da 48 enormi pilastri cruciformi, rafforzati da cordoli e disposti in quattro file, a formare cinque lunghe navate. Un sistema di illuminazione permette ai raggi solari di inondare l’ambiente dai pozzetti superiori, con un suggestivo gioco di luci ed ombre che invita al raccoglimento mistico. Da visitare, a Bacoli, anche le “Cento Camerelle”, altra struttura idrica con funzione di cisterna, appartenente alla villa di età repubblicana di Ortensio Ortalo, sicuramente tra le più sontuose di questa zona, costellata da residenze patrizie. Si tratta di cunicoli comunicanti scavati nel tufo e non ancora del tutto esplorati, con copertura piana e spiovente, che attualmente terminano a strapiombo sul mare. Nelle vicinanze di Bacoli, inoltre, sorge il parco archeologico delle Terme Romane di Baia. Questa antica città, affacciata su una piccola insenatura, fu decantata e frequentata dalle più insigni personalità di Roma, per le sue delizie ambientali e per le sorgenti termali. Imperatori e patrizi eressero qui le loro residenze estive. Orazio giunse a dichiarare che nessuna insenatura al mondo risplende più di Baia. Fu un geniale architetto del primo periodo imperiale, Sergio Orata, a incanalare le diverse sorgenti d’acqua calda del territorio, in modo da riscaldare diversi ambienti termali attrezzati per la cura del corpo. Le terme di Baia furono ingrandite da Nerone che amò particolarmente questo luogo. Gran parte della città, che si sviluppava lungo un pendio, si trova oggi, a causa del bradisismo, sommersa dal mare. La grandiosità e la raffinatezza delle tecniche architettoniche impiegate per costruire questo complesso, però, sono ben individuabili nell'attuale sito archeologico.